Le manifestazioni si intensificheranno in coincidenza con l’avvicinarsi della presentazione della legge in Parlamento: 9 gennaio (alla Gare du Nord), 11 gennaio, 26 gennaio (funzione pubblica), 7 febbraio, 4 marzo (alla Gare du Nord contro la distruzione della bidonville di Calais), 6 marzo (a Belleville), 9 marzo, 10 marzo (pensioni), 12 marzo (al Luxembourg contro lo stato d’emergenza), 24 marzo, 31 marzo, 5 aprile, 9 aprile, 14 aprile (manifestazione notturna non autorizzata, seguita da incidenti), 28 aprile e sciopero dei controllori di volo, 1° maggio, 2 maggio (resistenza contro lo sgombero e la dispersione dei 1600 migranti dell’accampamento di Stalingrad), 3 maggio (studenti) 4 maggio (resistenza allo sgombero del Liceo Jean Jaurès occupato da 277 migranti), 10 maggio (ferrovieri), 12 maggio, 18 maggio (manifestazione del sindacato di polizia Alliance e contro-manifestazione del collettivo UNPA), 17, 19 e 26 maggio. Una manifestazione nazionale il 14 giugno, dove la polizia interviene in modo violento e premediato, permette al governo di utilizzare il pretesto delle "violenze" dei "casseurs", per evitare di vedere le centinaia di migliaia di persone scese in piazza; i media servilmente confermano. Ne segue un'altra – prima vietata e poi autorizzta – con un percorso blindato, sotto stretta sorveglianza poliziesca, il 23 giugno, ed infine il 28, che dovrebbe segnare il funerale del movimento. A questa serie vanno aggiunte alcune manifestazioni spontanee, a volte notturne, in diversi quartieri di Parigi, di cui la stampa ha parlato poco o nulla.
Il 31 marzo, dopo la manifestazione si verifica un evento imprevisto: alla Bourse du travail, dove si proietta il film Merci patron, un gruppo di manifestanti, guidati da François Ruffin, autore del film ed editore del giornale Fakir, propone di restare sulla vicina Place de la Republique per prolungare il dibattito: è nato “Nuit debout”. Preso dal punto di vista delle sue capacità di mobilitazione dell’insieme del corpo sociale, questo movimento appare molto limitato. Ma osservato dal punto di vista delle sue dinamiche interne, ne esce un quadro piuttosto diverso.
● Si distingue da altri «movimenti delle piazze», in primo luogo, per le circostanze della sua nascita, direttamente collegate al movimento in corso contro la legge sul lavoro. All’origine è l’iniziativa di qualche decina di giovani, di cui una buona parte sembra essersi formata nelle manifestazioni “citoyennistes” degli ultimi anni (movimento dei disobbedienti, Action Climat intorno alla COP 21), che decidono di proseguire l’esperienza della prima notte dotandosi dei mezzi per fare sopravvivere questo raduno tutte le sere. E che metteranno in pratica i propri metodi e difenderanno i propri valori.
Questi metodi sembrano abbastanza collaudati, ereditati in gran parte dai movimenti altermondialisti. Cosa che manterrà una certa dicotomia tra “passanti” (ascoltatori passivi o parlanti) ed organizzatori, sempre sul piede di guerra. Le commissioni "strutturali" che si formano fin dall'inizio – accoglienza, logistica, serenità, infermeria, mensa... – che con il passare del tempo sembrano riprodurre la "specializzazione" delle mansioni tra quelli che ne fanno parte e quelli che ne utilizzano i servizi, la cui stanchezza verso la fine di giugno, sembra pesare sulla sorte del movimento.
Nel dibattito, alcuni principi s’impongono immediatamente, che sono anch’essi propri di questa generazione:
La parola deve essere libera e aperta a tutti, in modo egualitario. Questo si traduce concretamente nell’organizzazione di un’assemblea fatta di interventi successivi, senza gerarchia né strutturazione, da cui un’impressione persistente di ondeggiamento ed a volte di grande sfogo.
I gruppi politici costituiti non hanno la parola in quanto tali, i “tesserati” possono esprimersi, ma in qualità di semplici cittadini. Tuttavia, un’evoluzione si produce man mano che passano le settimane.
Dalla seconda settimana, si formano delle commissioni destinate a consentire il dibattito ed a prendere delle iniziative, ma riproducendo la tradizionale segmentazione dei problemi e delle rivendicazioni (ecologia, femminismo, antispecismo, anticolonialismo, istruzione popolare…), in seno alle quali assumono un peso significativo i militanti dei tradizionali raggruppamenti che già occupano il terreno su queste questioni.
Rapidamente, alcune di queste commissioni si mettono ad organizzare dibattiti tematici ai margini dell’assemblea generale (detta “AG”). Questi dibattiti attirano sempre più persone, si approfondiscono con il tempo ed assumono progressivamente maggiore consistenza rispetto all’AG, che si dirada.
Dopo un mese, emergono tentativi per spingere l’AG, attraverso un complicato processo di voto in più tappe, a fornire una espressione politica comune al movimento. Questa ricerca molto laboriosa (e fino a questo momento non ancora conclusa) riflette una volontà condivisa di riuscire a praticare una forma di democrazia diretta, ma che attiene essenzialmente a questioni di forma, indipendentemente dai contenuti. E la delega, appunto su un contenuto specifico, resta un’opzione maggioritariamente rifiutata. L’appello in favore di una nuova Costituente trova invece un certo eco sulla piazza, il che conferma che la democrazia viene percepita prima di tutto come una questione di metodo, e non come il prodotto di un movimento di lotta collettiva.
● Il legame d’origine con la lotta contro la legge El-Khomri mantiene comunque una relazione solida con le lotte del mondo del lavoro. Il tema dello “sciopero generale” diventa uno dei temi forti del dibattito e diviene oggetto di una commissione specifica, che attrae dei militanti sindacalisti di base decisi a giocare la carta dei collegamenti intersettoriali per costringere le burocrazie sindacali ad indire uno sciopero generale a tempo indeterminato. La pressione di questi sindacalisti di base aveva già funzionato come tramite per la petizione di Caroline de Haas (1,3 milioni di firme), poi con il lancio il 22 marzo dell’appello “Blocchiamo tutto”, poi si è fatta sentire attraverso vivaci dibattiti al congresso della CGT di metà aprile, che tuttavia non ha portato ad alcun impegno se non delle nuove “giornate d’azione”.
La presenza di questi militanti sindacali ha anche permesso l’apertura della Bourse du Travail (con la copertura dell’Union Départementale CGT di Parigi) alle riunioni di gruppi d’azione, a meeting contro la repressione o a incontri tra sindacalisti, salariati, manifestanti e partecipanti a “Nuit debout”.
La commissione è riuscita da sola, dopo la manifestazione del 28 aprile, ad organizzare un’assemblea in piazza centrata sul tema dello sciopero generale, che ha attratto molta gente e dove si sono espressi allo stesso tempo sindacalisti di base dei settori in lotta (tassisti, ferrovieri, postali), due membri di due CNT – tutti a favore di un appello allo sciopero generale a tempo indeterminato – ed i segretari generali delle confederazioni CGT e Solidaires – che hanno giocato a fare i tribuni senza prendere impegni concreti.
Si è vista quindi la riproduzione della logica della mobilitazione sconfitta nel 2010, con la differenza che questa volta si realizza in piazza e non nelle sale chiuse della Bourse du Travail. Il volontarismo militante continua a scontrarsi non solo contro l’inerzia delle burocrazie sindacali – che concepiscono le mobilitazioni come un semplice complemento in una trattativa che deve svolgersi all’interno del quadro politico costituito – ma anche contro la passività della grande massa dei salariati, prigionieri nelle loro aziende, e che nessuna presenza sindacale attiva cerca di mobilitare sulla base delle proprie difficoltà e ragioni per opporsi al potere padronale.
Il tema della convergenza delle lotte è fin dall’inizio molto presente nei discorsi, ed è anche oggetto di una commissione specifica. Ma più che una convergenza pratica, suscettibile di fare evolvere realmente i rapporti di forza, c’è una forte tensione unitaria, il desiderio di dare un aiuto concreto a quelli che sono in lotta, un’ideologia della convergenza insomma, che a volte riesce a concretizzarsi. Qualche esempio: l’aiuto (reciproco) fornito agli intermittenti dello spettacolo in diverse loro azioni, in particolare nell’occupazione dell’Odeon e della Comédie-Française; la partecipazione alla manifestazione dei ferrovieri alla gare Saint-Lazare in aprile; il blocco fisico durato qualche ora dei Mc-Donald’s investiti dallo sciopero; la presenza fisica dei “nuitdeboutistes” in solidarietà con i migranti al momento degli sgomberi da parte della polizia; poi, quando gli scioperi si amplificano, il sostegno, a volte massiccio, ai picchetti di sciopero, ed in particolare a Parigi, nei centri di trattamento dei rifiuti e, in provincia, nelle raffinerie.
L’idea, largamente agitata all’epoca del movimento del 2010 contro la riforma delle pensioni, di un “blocco dei flussi”, che si supponeva potesse, in un contesto di precarizzazione crescente del salariato, sostituirsi allo sciopero generale per bloccare l’economia, torna regolarmente nei dibattiti, ma senza arrivare ad oltrepassare veramente lo stadio dell’idea agitatoria. I primi tentativi di blocco (al porto fluviale di Genevilliers, davanti ai grandi magazzini in banlieue), hanno avuto degli effetti limitati, per mancanza di collegamento con i lavoratori interessati. In seguito, la pratica dei blocchi si è amplificata in collegamento con gli scioperi in corso – su delle strade, dei ponti, alle uscite dei porti e delle raffinerie – ma l'intervento rapido della polizia ne ha ridotto l'impatto economico a poca cosa. La loro importanza sta soprattutto nel fatto che sono state l'occasione di aggregazioni trasversali e d'azione comune fortemente galvanizzatrice.
Fin dalla seconda settimana, si sono visti sindacalisti di varie categorie mobilitate venire sul posto ad organizzare dei dibattiti sui problemi specifici dei loro settori (dei militanti di SUD Santé-social per “Hôpitaux debout”, il “gruppo dei 37” per “Psychiatrie debout”. Ma queste iniziative sembrano in via di esaurimento – probabilmente perché la convergenza tanto ricercata fatica a produrre i suoi frutti in un contesto che assomiglia, a momenti, più ad una fiera che ad un luogo di dibattito. Gli insegnanti, nondimeno sempre in lotta, alcuni, contro la riforma delle medie, non sono presenti che a livello individuale, in particolare nella commissione istruzione. Non ci sono neppure discussioni specifiche sulla condizione studentesca. I coordinamenti liceali e universitari si fanno vivi ogni tanto in assemblea, ma si organizzano al di fuori della piazza.
● La lotta contro lo stato d’emergenza si confonde talvolta con la lotta contro le violenze della polizia, cominciate con la mobilitazione dei liceali e diventate più gravi con le manifestazioni del 28 aprile e del 1° Maggio. Sembra in effetti che a partire dalla fine di aprile, il potere smetta di puntare all’esaurimento di Nuit debout e cerchi ormai soprattutto di dissuadere dal manifestare, nel timore di una saldatura tra giovani “Nuitdeboutistes” e salariati più anziani, favorita da queste manifestazioni.
In Place de la Republique, le vessazioni della polizia diventano quotidiane: dopo aver imposto lo smontaggio delle installazioni durante la seconda parte della notte (ufficialmente per consentire la pulizia della piazza), l’autorità municipale ha imposto il divieto di consumare bevande (nei primi giorni, era la polizia che incoraggiava i venditori ambulanti a occupare la piazza), di fare dei cortei, di utilizzare amplificatori dopo mezzanotte, poi dopo le 22, il che crea molteplici occasioni di controllo, di perquisizioni sulle vie d’accesso e nella metro, e di molestie nei confronti di chi va sulla piazza.
I momenti di scontro fisico con le forze dell’ordine, ricorrenti durante tutte le manifestazioni contro la loi travail, ma talvolta anche provocati in certe notti da piccoli gruppi di “violenti” che li rivendicano, fa della questione della violenza un leitmotiv delle assemblee e dei dibattiti. La difficile contraddizione tra la riprovazione morale de la violenza, maggioritaria tra i giovani di questo ambiente sociale, e la volontà di non venir meno al vincolo di solidarietà con coloro che sono percepiti come una delle molteplici espressioni del movimento, costituisce l’oggetto di discussioni ricorrenti. L’inconsistenza politica di questa forma di “radicalismo”, che non fa altro che alimentare il linciaggio mediatico dell’insieme del movimento, comincia ad emergere.
La solidarietà di fronte alla repressione (arresti massicci alla fine delle manifestazioni o dopo azioni dei liceali), sembra essere adottata con una certa esperienza, ereditata dalle lotte altermondialiste ed ecologiste: presenza costante di avvocati sulla piazza, mobilitazione di un legal team dentro le manifestazioni, meetings antirepressione…
Da notare allo stesso tempo che la paura del terrorismo, tanto strumentalizzata dal potere, non sembra occupare alcuno spazio nel senso comune della piazza, al punto che lo stato d’emergenza sembra ormai percepito essenzialmente come uno stato di eccezione giuridica.
Va messa in risalto infine la tenacia dei “nuit-deboutistes”: malgrado le intemperie, malgrado le vessazioni poliziesche, malgrado le tensioni causate dagli episodi di violenza alla fine della nottata, malgrado tutto il dispendio di energia che esige quotidianamente la “logistica”, essi continuano, convinti dell’importanza di ciò che contribuiscono a far vivere.
Si deve innanzitutto sottolineare l’importanza in sé dell’occupazione di questa grande piazza centrale parigina, dedicata alla riflessione politica e allo scambio. Non solo perché Parigi è gravemente carente di luoghi indipendenti di incontro e discussione.2 L’apertura verso la città, che, permettendo a chiunque di venire a prendere parte alle discussioni in assemblea o in commissione, ne fa una vera e propria agorà, la libertà d’organizzare dei dibattiti (anche se l’inserimento all’interno di commissioni permette una diffusione attraverso le agende del sito e di disporre di un altoparlante)… tutto questo contribuisce a fare di Nuit debout un luogo politico, nel senso pieno del termine.
Ed è un fatto che questa iniziativa corrisponde ad un bisogno. In una società fortemente atomizzata, in una città sempre più colonizzata dal turismo, dallo spettacolo, dalla “festa”, in un mondo dove l’espressione pubblica è confiscata da media onnipresenti, il bisogno di farsi ascoltare e di ascoltare, ma anche di scambiare e riflettere insieme, è grande. E’ questo bisogno che rivela il successo inatteso di Nuit debout. E che conferma il fatto che questa dinamica, che è maturata e si è strutturata, ha resistito per tre mesi, smentendo tutti i pronostici di un rapido esaurimento.
L’iniziativa inoltre si è velocemente allargata, in primo luogo per il ruolo di amplificazione dei relé internet di cui si è dotata (il sito, Radio debout, Télé debout), e d’altra parte per la sua proliferazione spontanea: delle “Nuit debout” sono apparse in parecchie altre città francesi (con qualche diramazione all’estero), ma anche dentro certi quartieri di Parigi e qualche città in banlieue, dove l’elemento della prossimità gli permette di articolare la mobilitazione su questioni più locali e una dimensione più conviviale.
I media e gli scettici hanno fatto presto a mettere l’accento sulla ristretta composizione sociale dei frequentatori di Nuit debout: sarebbero esclusivamente giovani, bianchi, parigini e di classi medie precarizzate – tesi che uno studio recente ha seriamente sfumato.3 Certo, i “quartieri” delle periferie non vengono sulla piazza. Tuttavia: questi incontri e dibattiti quotidiani giocano per i più giovani un vero ruolo di socializzazione politica primaria – ruolo che hanno smesso di giocare da qualche tempo le lotte universitarie e liceali, diventate deboli o inesistenti.
L’ingenuità politica della giovane generazione impegnata nel movimento non è d’altronde in sé una debolezza, checché ne dicano i gruppi dell’ultra-sinistra o i post-autonomi. Essa la spinge in effetti a prendere in parola il potere, prendendo in questo modo la misura della sua ipocrisia. C’è qui un fattore di maturazione politica da non sottovalutare. Chi parla di un recupero politico non capisce che, perché possa funzionare, bisogna che il movimento perda la sua capacità propulsiva e si rassegni all’egemonia della cultura politica dominante.
Perché Nuit debout gioca anche un ruolo non trascurabile nel movimento di lotta. E questo grazie al lavoro delle commissioni “sciopero generale” e “convergenza delle lotte”, che riflettono giorno dopo giorno sulle modalità d’azione e trasmettono le diverse iniziative; grazie anche all’organizzazione di dibattiti in assemblee orientate, nella sera dopo le giornate di mobilitazione, sulle questioni che si pongono alle lotte, ma soprattutto grazie al fatto che Nuit debout assicura una forma di continuità al movimento d’insieme, facendo in qualche modo da tappeto tra le differenti manifestazioni che punteggiano il calendario sindacale – cosa che il movimento contro la riforma delle pensioni del 2010 non aveva saputo produrre. Anche se negli ultimi giorni di maggio e durante il mese di giugno, complice il maltempo, sembra in via di esaurimento.
Malgrado tutte le sue insufficienze, questo movimento è rimasto comunque una spina importante nel piede del governo, che non ha trovato il modo di sbarazzarsene senza troppi danni. Il trattamento sistematicamente ostile e sprezzante dei grandi media dimostra bene come queste prese di parola non autorizzate ed incontrollate disturbino il potere e coloro che hanno come missione il compito di riprodurre e diffondere il suo discorso. E’ chiaro che la presenza di un luogo dove la politica viene elaborata al di fuori di ogni controllo e di tutto il quadro costituito gli faccia paura. Tanto più che i “professionisti” dell’azione politica che potrebbero, come in Spagna, orientare il movimento verso un semplice rinnovamento del personale dentro le strutture esistenti non hanno (ancora?) trovato posto.4
La loi travail passa in Parlamento nella prima metà del mese di marzo. Viene adottata dalla Camera il 12 maggio con il ricorso all’articolo 49/3 (la fiducia al governo). La mozione di censura della destra viene respinta e la sinistra dissidente (ecologisti, PC, PG e frondisti del PS), con 56 firme, non riesce a coagulare un numero sufficiente di deputati (58) che consenta di presentare una propria mozione. Il PS comincia a mostrare crepe ed il ricorso all’articolo 49/3 non fa che esasperare gli oppositori. Risultato: la mobilitazione si allarga e conquista alcune imprese strategiche, il governo appare intrappolato dalla propria intransigenza.5
Verso la metà di maggio, il movimento prende una piega più determinata. Compaiono blocchi di camionisti vicino ai porti ed alle raffinerie, come un colpo di avvertimento, ma non durano che fino al momento in cui il governo promette di proteggere i loro straordinari – che arrivano alla metà del loro salario – consentendogli di sfuggire alle condizioni generali previste dalla loi travail.
Nel frattempo lo sciopero conquista diversi porti e raffinerie di petrolio, che si ritrovano bloccati. Il 24 maggio, la polizia attacca il picchetto dei portuali che bloccano il deposito di Fos-sur-Mer e promette di sbloccare le altre raffinerie e depositi di carburante. Durante circa tre settimane quasi tutte le otto raffinerie sono in sciopero ed hanno fermato la produzione. Gli interventi della polizia per rimuovere i blocchi non hanno avuto altro effetto che rafforzare la determinazione degli scioperanti, che non hanno fatto più uscire una goccia di benzina, in particolare nell'Ovest del paese. Il governo riesce tuttavia ad evitare che la penuria di carburante colpisca massicciamente la regione parigina, su cui si concentra l'attenzione dei media. Gli scioperi, minoritari all’inizio, sono diventati velocemente maggioritari nelle raffinerie. Ma anche questa situazione non dura a lungo e le stazioni di servizio ricominciano a ricevere carburante e gli scioperi si esauriscono uno dopo l'altro.
Alla SNCF, la CGT indice uno sciopero a tempo indeterminato tutti i mercoledì e giovedì a partire dal 18 maggio. Sud-Rail vorrebbe indurire il movimento e chiama allo sciopero a tempo indeterminato fino all’11 luglio, data della fine degli Europei di calcio, ma da solo non ha abbastanza peso. Il 18 maggio, la direzione comunica una percentuale di adesione allo sciopero del 15%, palesemente falsa perché tra un terzo e la metà dei treni non circolano. Ma alla SNCF le scadenze della lotta contro la loi travail si intrecciano con quelle della lotta contro la riforma delle ferrovie, dove l’UNSA e la CFDT chiamano all’azione per non staccarsi troppo dalla propria base, più corporativa. L’unità non durerà a lungo, dato che al secondo giorno di sciopero queste due confederazioni ritirano la loro adesione ed invitano i loro aderenti a riprendere il lavoro. La prima settimana di giugno s’annunciava dunque pericolosa, anche se l’intersindacale non aveva previsto manifestazioni di strada. I sindacati hanno scelto di far pesare la minaccia di uno sciopero ad oltranza durante gli Europei di calcio, piuttosto che coordinare un movimento di sciopero ampio e ben organizzato in un momento in cui molte altre categorie sono entrate in ballo.
L’accordo d’impresa e di categoria viene approvato dalla CFDT e dall’UNSA (che hanno il 30% dei voti) e rifiutato da CGT e Sud (che superano il 50%). Se mettessero il veto alla sua applicazione, l’accordo sarebbe invalidato, Sud cerca di farlo, ma il "senso di responsabilità" della CGT prevale e la federazione CGT dei ferrovieri evita di utilizzare il diritto di veto : l’accordo verrà reso esecutivo.
La CGT indice lo sciopero ad oltranza anche alla RATP (metro) a partire da giovedì 2 giugno, ma gli effetti restano assai modesti, dato che i blocchi dei depositi degli autobus vengono effettuati più dalle commissioni di Nuit debout che dagli scioperanti ed evacuati dalla polizia il giorno stesso. Nello stesso giorno si sciopera nei porti, mentre gli aeroporti e l’aviazione civile sono chiamati a scioperare tra venerdì 3 e domenica 5 giugno. I piloti di linea minacciano uno sciopero dopo l’inizio dei campionati europei, dopo la metà di giugno, ma ormai isolati, vi rinunceranno.
Il settore dell’energia si è già unito al movimento ed alcune centrali nucleari sono entrate in sciopero, imponendo una riduzione della produzione che obbliga EDF a importare elettricità. La scarsità non si fa sentire al livello del consumatore, come nel caso della benzina, ma il valore simbolico di un’azione del genere resta forte. Anche in questo caso, dopo un paio di settimane, gli scioperanti tornano al lavoro.
Va detto che varie categorie in cui la CGT è solidamente presente entrano in sciopero: alcune principalmente contro la loi travail, come i porti, la chimica ed in particolare il settore dell'energia (carburanti, elettricità), ma anche i servizi di nettezza urbana; non tanto nella raccolta dei rifuti, che pure produce vari scioperi, quanto negli impianti di incinerazione. A Parigi, per esempio, i netturbini pubblici saranno in sciopero ed il comune subappalta la raccolta a varie imprese private, fra cui alcune che lavorano già nella capitale. Ma sono soprattuto i quattro inceneritori della regione parigina che entrano in sciopero e vengono bloccati, prima che interventi successivi della polizia li sblocchino. A Bordeaux, lo sciopero dura fino alla fine di giugno ed i netturbini tengono duro. Ci sono poi altre categorie che hanno rivendicazioni specifiche e che approfittano del clima di lotta generalizzato per entrare in ballo. Il governo cerca di staccarli dal movimento d'insieme rispondendo ad alcune rivendicazioni, a volte anticipandole, e comunque elargendo promesse a destra e a manca. Abbiamo visto la situazione dei camionisti e quella dei ferrovieri.
Prima dei camionisti, gli insegnanti fanno parte, con l’insieme della funzione pubblica, delle professioni che il governo è riuscito a staccare dal movimento accordando varie concessioni: 1,2% di aumento del punto indiziario per la funzione pubblica, per i maestri, una “indennità di frequenza e accompagnamento” (cioè 800 euro in più all’anno), ed uno scatto generalizzato di categoria per gli insegnanti.
Questa estensione e radicalizzazione del movimento ha permesso alla CGT di riprendere in un certo senso il controllo della situazione. Si trova ormai in condizione di dimostrare che, senza di lei, non esiste movimento capace di imporsi al governo. Dentro le aziende (con l’eccezione, politicamente importante ma concretamente debole, delle stazioni di Parigi), non è comparsa alcuna forma di coordinamento autonomo e Nuit Debout non ha abbastanza peso. Se il governo accetta la trattativa, ci sono tutti gli elementi perché la manifestazione del 14 giugno diventi l’occasione per celebrare il funerale del movimento.
Ma il governo si irrigidisce. Invece di offrire alla CGT una via d’uscita onorevole, che gli permetta di mostrare alla sua base che è capace di ottenere un risultato, si intestardice nella difesa ad oltranza del progetto di legge. Quando il progetto passa in commissione, in senato, la destra ne approfitta per indurire il progetto originario: salta la settimana legale di 35 ore, ed i dipendenti potrebbero lavorare 39 ore a richiesta del padrone, in assenza di accordo d’impresa o di categoria, 48 ore in caso di bisogno e perfino 60 in casi eccezionali. Nelle piccole e medie imprese viene introdotta la possibilità di far firmare accordi individuali forfettari. Viene rimesso un tetto (15 mesi di salario) alle indennità che i tribunali del lavoro possono concedere ai dipendenti in caso di licenziamento abusivo. Gli apprendisti possono cominciare a 14 anni, invece dei 16 attuali. Il governo presenterà le propria versione della legge come una versione “di sinistra”, in un meeting che viene preso come una provocazione e contestato da qualche migliaio di manifestanti. Il 28 giugno la legge passa davanti al senato. Si dà per scontanto che la camera riproporrà la versione originale.
La CGT sembra più decisa che nel 2010 ad ottenere il ritiro della riforma. Va detto che il governo si è mostrato intrattabile e l’ha esclusa dalle trattative che hanno preceduto la redazione del testo, ma è un dato di fatto che la base della CGT sia più fortemente mobilitata che sulle pensioni. Questo è dovuto all’attacco che la CGT sta subendo (col passaggio dalla trattativa di categoria a quella d’impresa, dove sembra meno radicata della CFDT), ma anche con la trasformazione che si è operata negli ultimi anni nel suo seno. Una volta il PC controllava strettamente il sindacato, mentre ora la CGT è diventata una specie di federazione di gruppuscoli, che operano in modo autonomo sia nell'azione che nelle prese di posizione, l’insieme dell’organizzazione diventa più difficilmente controllabile dall’alto e più aperta alle spinte centrifughe.
La proposta avanzata dalla CGT e da FO di una “votazione popolare”, presentata come uno strumento per implicare nella lotta una popolazione che si ritiene non possa mettersi in sciopero, non fa che spostare il terreno dello scontro dallo sciopero e dalla piazza – dove resta favorevole al movimento – alle urne, dove le cose sono molto più controllabili. La mattina del 28 i media annunciano il sucesso della votazione, che avrebbe raccolto 800 000 votanti, di cui il 92% contro il progetto governativo. Visto che la prima petizione aveva superato il milione 300 mila, questo successo è molto relativo.
Dal lato del potere, non è escluso che l’intransigenza si ammorbidisca, data la frattura che si è aperta tra il governo e una buona parte della sua base elettorale. Diversi deputati e responsabili di governo cominciano a temere le conseguenze negative dell’irrigidimento, soprattutto in vista delle elezioni presidenziali, previste per l’aprile 2017. Pasticci e contraddizioni si moltiplicano, lasciando intravedere la ricerca disperata di una via d’uscita che consenta loro di salvare la faccia. Molti responsabili socialisti sembrano aver abbandonato l'idea di una vittoria alle prossime presidenziali e danno per scontato che a questo punto non c'è più nulla da perdere. Una valutazione di questo tipo potrebbe paradossalmente portare acqua al mulino dell'intransigenza governativa. Di qui la moltiplicazione dei discorsi contraddittori.
C'è comunque una costatazione di fondo: il movimento non è riuscito ad andare oltre la base sindacale protestataria classica, implicando la gran massa del lavoro salariato. Se il 75% dei francesi resta contrario – sondaggio dopo sondaggio – al progetto di legge ed al modo in cui il governo lo ha fatto passare, i lavoratori non hanno trovato abbastanza rabbia, coraggio, energia, per mettersi in sciopero e scendere in piazza.
Le manifestazioni di piazza diventano il terreno di una guerra di cifre tra la CGT, che sovrastima il numero dei partecipanti, e la polizia, che lo sottostima sistematicamente (la verità si trova generalmente a metà strada). Ma è piuttosto sulla composizione delle manifestazioni che vale la pena di concentrarsi. Con l’avanzare del movimento, si possono individuare due dinamiche:
– A partire dalla metà di marzo, le manifestazioni, con l’eccezione di quella del 31, vedono una bassa partecipazione sindacale: dei cortei assai sparuti, intorno ai palloni sindacali, formati probabilmente soprattutto da membri dell’apparato e da pensionati, seguono una testa del corteo composta da giovani, sindacalizzati o no, sempre più numerosi e determinati. Al suo interno si formano dei gruppi attrezzati per lo scontro con la polizia, più o meno sostenuti dalla grande massa e che, quando la polizia comincia a voler utilizzare il servizio d’ordine CGT-FO come forza ausiliaria, finisce per scontrarsi anche con lui. La pressione dei manifestanti ed i video degli scontri che circolano su Internet mettono rapidamente fine a questa collaborazione troppo appariscente.
– La manifestazione del 26 maggio segna un nuovo punto di svolta: se il settore di testa rimane notevole, i tre quarti della manifestazione sono ormai rappresentati dalle truppe della CGT, che ha chiamato a raccolta i suoi delegati di base dentro le aziende e nella funzione pubblica. Gli spezzoni di FO e di Solidaires, pur consistenti, sono molto inferiori. La FSU, dal canto suo, è appena visibile.
Lo spezzone di testa, autonomo dalle organizzazioni sindacali, vivace, composto di persone più combattive e curiose, liceali ed universitari, militanti sindacali, associativi, nuitdeboutistes, autonomi e libertari, etc., è una novità rispetto ai movimenti degli ultimi 30 anni. Fino ad oggi, la testa dei cortei era gelosamente accaparrata dai sindacati e specialmente dalla CGT. La presenza di uno spezzone autonomo rende visibile un mutamento della situazione sociale e dei rapporti di forza nel movimento. Trasforma inoltre lo stile delle manifestazioni dato che questo spezzone di testa sceglie di non indietreggiare di fronte allo scontro con la polizia. Ma la presenza nel suo seno di piccoli gruppi abituati allo scontro, ma poco attenti ai rischi che fanno correre agli altri, che praticano la ruttura delle vetrine (di banche, assicurazioni, grandi magazzini e pubblicità) a fine manifestazione, come una forma di insurrezionalismo, permette soprattutto al potere, attraverso i grandi media che lo servono, di trattare le manifestazioni come un problema di ordine pubblico.
Il governo (ed i sindacati) ha notevoli difficoltà a gestire la situazione. Non potendo dare una risposta politica che smorzi il conflitto, tende a trasformarlo in problema di ordine pubblico, attribuendo ai sindacati (e specialmente alla CGT) la responsabilità dell'esistenza di questo spezzone inprevedibile ed incontrollabile. La manifestazione del 14 giugno, che la CGT concepisce come una prova di forza nei confronti del governo e del movimento stesso, diventa l'occasione per una vera e propria manipolazione politico-mediatica: la frattura di un vetro dell'ospedale Necker (un ospedale per bambini, in cui era stato ricoverato il figlio di una coppia di poliziotti assassinati da un jiadista, ma nessuno lo sapeva salvo il governo) viene smisuratamente amplificata per farne il simbolo dell'irresponsabilità dei "casseurs" ed obbligare la CGT a prenderne le distanze. La manifestazione successiva (il 23) viene vietata in prima battuta. I media ricordano che l'ultima manifestazione sindacale vietata risale all'8 febbraio 1962, in piena guerra d'Algeria, che si era conclusa con il massacro del métro Charonne: 8 morti. Il ricordo è assai fastidioso per un governo che si pretende di sinistra e questa viene successivamente autorizzata, ma sotto stretta sorveglianza, con tre-quattro perquisizioni prima di arrivare al punto di partenza. I media pretendono che gli incidenti delle manifestazioni precedenti sono stati evitati, ma la sede della CFDT viene attaccata da qualche centinaio di manifestanti inferociti, e non parlano di alcune altre manifestazioni non autorizzate svoltesi in contemporanea. Un risultato comunque il governo sembra ottenerlo: il corteo di testa sparisce dalla manifestazione, che, ridotta di numero, riprende l'aspetto tradizionale dei cortei sindacali classici.
Il 28 giugno la manifestazione viene autorizzata, ma le perquisizioni prima di arrivare al concentramento, rimangono. E per di più viene circondata dalla polizia la Bourse du travail, dove si teneva un'affollata assemblea di militanti di vari settori sociali, a cui viene impedito di raggiungere la manifestazione. Per trovare un precedente, qui bisogna risalire ancora più lontano nel tempo e l'epoca non era delle migliori. Rispetto alla manifestazione precedente c'è una simpatica sorpresa: malgrado il filtro della polizia il corteo di testa riprende corpo (e spacca qualche vetrina lungo il percorso).
La repressione contro il movimento è pesante: in soli tre mesi ci sono circa 1900 arresti, di cui più di un centinaio sono stati giudicati e condannati per direttissima. Non si contano gli interventi della polizia, che sperimenta nuove tecniche di azione contro i manifestanti. Non si può parlare esattamente di tecniche di controllo della situazione, ma piuttosto di provocazione organizzata delle manifestazioni, che vengono bloccate, spezzate ed esasperate, cosa che ha come risultato di saldare manifestanti pacifici e manifestanti organizzati per lo scontro in una stessa esasperazione.
La gestione dell'ordine pubblico sembra scostarsi dalle tendenze osservabili sul piano europeo e molti fra gli stessi specialisti della repressione sono critici rispetto alle modalità utilizzate in Francia.6 Ma questa prende senso se viene interpretata come un messaggio politico inviato dal governo al movimento nelle piazze, in cui si afferma una capacità repressiva che supera anche quella tradizionale della destra.
La repressione ha però un effetto probabilmente indesiderato per chi la maneggia. In un movimento che rappresenta una prima forma di comprensione e socializzazione politica per una generazione di giovani, non c'è bisogno di sostenere che lo Stato è innanzitutto una banda di uomini armati che pretende di avere il monopolio della violenza legittima. I giovani toccano con mano la brutalità della polizia e di coloro che danno gli ordini. Se all'epoca della COP 21 o agli inizi di Nuit debout, si poteva a volte sentire lo slogan "la polizia insieme a noi", oggi non si corre più questo rischio.
Come in ogni movimento vero, le motivazioni dei settori che lo compongono sono diversificate ed a volta contraddittorie. Ma c'è il vantaggio di un governo che polarizza le tensioni accumulate e federa il malcontento di tutti. Le misure di questi anni non sono passate invano e la memoria dei settori che si mettono in lotta riesce a guardare lontano.
Preso nel suo insieme, questo movimento rappresenta dunque qualcosa di più importante della semplice lotta contro la loi travail, contro lo stato d’emergenza, contro le violenze poliziesche o per l’occupazione delle piazze. Esso mette in luce la frattura tra lo Stato e la popolazione, ed in particolare tra la sinistra di governo e la frazione della società che dovrebbe sostenerla – cosa che viene confermata dalla proliferazione dei discorsi critici della finzione di democrazia che è diventato il sistema “rappresentativo”. Questo fa seguito alle numerose batoste elettorali del PS negli ultimi due anni (municipali, dipartimentali, regionali) e rischia di aggravarle in futuro, qualunque sia la sorte finale della loi travail.
G. Soriano et Nicole Thé. Parigi, 28 giugno 2016
Questo testo è stato scritto mano a mano che il movimento si svolgeva, a richiesta di compagni fuori dalla Francia, con elementi d'informazione e riflessione che si aggiungevano via via. Da cui inevitabili ripetizioni, ridondanze e contraddizioni. Se ne avremo la possibilità, cercheremo di produrre un altro articolo di sintesi e bilancio.
Note
[1] I video che mostrano le violenze poliziesche di novembre e dicembre in Place de la République non lasciano adito a dubbi.
[2] Anche La Parola errante, a Montreuil, è ormai minacciata e nessuno può dire se le iniziative prese dal gruppo che cerca di salvarla dal destino subito da altri siti militanti, arriveranno a qualcosa.
[3] https://gazettedebout.org/2016/05/17/qui-sont-les-nuitdeboutistes-enfin-une-etude-serieuse/#more-7821
[4] Si noti anche l’appannamento progressivo del ruolo di personalità che hanno contribuito ad iniziare il movimento, come Ruffin e Lordon (le loro concezioni della mobilitazione, fondamentalmente impregnate dell’idea leninista secondo cui le mobilitazioni si concepiscono e si organizzano in illuminati comitati ristretti, non si riveleranno più esattamente in sintonia con la sensibilità e la volontà degli attori di Nuit debout, che hanno retto, convinti della legittimità e della solidità del loro movimento).
[5] Un po’ come quando si è cercato di inserire nella Costituzione la revoca della cittadinanza francese per i terroristi con doppia nazionalità, registrando un fallimento clamoroso.
[6] Olivier Fillieule & Fabien Jobard, Un splendide isolement. Les politiques françaises du maintien de l'ordre, http://www.laviedesidees.fr/Un-splendide-isolement.html#nh10 et Josephh Confavreux, "Le pouvoir politique est affaibli face au pouvoir policier", https://www.mediapart.fr/journal/france/210616/le-pouvoir-politique-est-...
Anmerkung Johhny (22.07.2016): Dieser Text wurde erstmalig in französisch auf mondialisme.org veröffentlicht. In der aktuellen Printversion der Sommerausgabe der wildcat (100!; Gratulation) findet ihr eine deutsche Übersetzung, diese Übertragung ins italienische wurde auf der website der wildcat veröffentlicht.